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Considero "Lapoterapia" come una delle vie più belle dell’Ossola. La linea segue una sottile fessura che solca la parte più strapiombante della falesia di Osso.
Italia
Via sportiva
Lapoterapia
Osso
-
8c
Alessandro Manini (2012)
Gabriele Moroni (2013)
Vista la natura della via, mi sono reso conto che sarebbe stato possibile arrampicare senza utilizzare gli spit, e così ho fatto, salendola in stile trad.
Tornati da Yosemite, un dolore al ginocchio mi ha obbligato a uno stop forzato di una decina di giorni, durante i quali ne ho approfittato per allenarmi al pan güllich ed al trave, per ritornare in forma dopo il lungo periodo trascorso in parete.
Quando il dolore è diminuito, mi sono ritrovato in Ossola con alcuni amici, senza un obiettivo preciso in testa, ma solo per mettere alla prova il ginocchio.
L’appuntamento era nella falesia di Osso, una piccola parete esposta a Sud, perfetta per le giornate invernali. Non ci ero mai stato prima di allora, ma ne avevo sentito parlare per “Lapoterapia”, una delle vie più dure della zona. Chiodata dall’instancabile Maurizio Pellizon, e liberata qualche anno dopo dal forte local, Alessandro Manini, “Lapoterapia” sale lungo una bellissima fessura strapiombante di venti metri, e per lei si era proposto un 8c. Nonostante i tentativi di diversi arrampicatori, era stata ripetuta solamente dal fortissimo Gabriele Moroni nel 2013.
La bellezza della linea è impressionante e scrutando la fessura mi chiedevo non fosse possibile salirla utilizzando solamente delle protezioni tradizionali, mi sembrava la scelta più logica.
Pur non avendo il materiale necessario con me, l’ho provata comunque, utilizzando gli spit. I movimenti erano fantastici, mai scontati e molto fisici. Dopo alcuni tentativi sono riuscito a salirla ed a oggi la considero una delle vie più belle che abbia mai fatto. Ero contento di averla fatta, ma mentre rincasavo continuavo a ripetermi che il modo migliore per salire quel pezzo di roccia fosse stato assicurandosi attraverso delle protezioni tradizionali.
Dopo nemmeno un giorno, ero nuovamente in viaggio verso l’Ossola con lo zaino pieno di friends.
Sono giunto in falesia di sera e, non avendo un compagno, mi sono calato dall’alto per controllare, alla luce della frontale, come potermi proteggere, e per capire da dove posizionare le protezioni. Fatta eccezione per i primi cinque metri, fortunatamente la via non pareva troppo pericolosa. Di notte, sdraiato nel bagagliaio della mia auto, continuavo a domandarmi se non sarebbe stato troppo difficile piazzare le protezioni scalando: era già abbastanza complesso arrampicare con gli spit, non avevo troppo margine.
Il giorno seguente sono stato raggiunto da alcuni amici e ho iniziato a provarla da secondo, posizionando le protezioni. Effettivamente, specialmente sul passo duro, era molto più complicato e stancante posizionare i friends invece che rinviare gli spit, ma dopo qualche ora, mi sentivo già pronto per un giro dal basso. Ho scalato bene, ma l’aver sprecato troppe energie per i friends mi ha fatto cadere all’ultimo movimento duro: quella sezione prevede un bel run out, quindi, nonostante il fallimento, ero contento che la protezione avesse tenuto. Mi era servito come test psicologico. Dopo un altro tentativo terminato ancora nello stesso punto, ho rimandato l’impresa al giorno successivo, quando tutto è andato per il meglio e sono riuscito a raggiungere la presa della “salvezza”, continuando fino in catena. “Lapoterapia” è nata come via sportiva e rimarrà sempre tale, ma spero che la mia salita, in stile tradizionale, riesca a dimostrare che esiste anche un approccio alternativo a determinate linee, di cui, tra l’altro, l’Ossola pullula.